Giovedì 12 maggio, cinque anarchici leccesi sono stati arrestati nel quadro dell’ennesima inchiesta per “associazione sovversiva con finalità di terrorismo” (270 bis), in base alla quale sono stati perquisiti case e spazi anarchici in mezza Italia. Il Capolinea occupato di Lecce è stato chiuso e sottoposto a sequestro giudiziario. Conosciuti per la loro opposizione costante e senza compromessi a quei lager che la lingua di Stato chiama “centri di permanenza temporanea”, questi compagni
stavano dando troppo fastidio. Ora che le brutalità del CPT di Lecce sono emerse in modo talmente evidente che il suo direttore, don Cesare Lodeserto, è stato arrestato con l’accusa di violenza privata e sequestro di persona; ora che diversi immigrati rinchiusi hanno cominciato a ribellarsi con coraggio e continuità, la voce di chi da tempo smaschera le responsabilità di un intero sistema concentrazionario andava zittita.
Questi compagni vengono accusati di una serie di attacchi contro
le proprietà dei gestori e finanziatori del CPT di Lecce, di alcuni sabotaggi contro la Esso e di qualche azione diretta contro la Benetton. Non sappiamo se siano innocenti o colpevoli, e nemmeno ci interessa. Ciò che consideriamo giusto non lo cerchiamo tra le righe dei codici dello Stato. Se sono innocenti, hanno la nostra solidarietà. Se sono colpevoli, ce l'hanno ancora di più.
Rispondere con determinazione a chi rinchiude donne e uomini la cui unica colpa è quella di essere poveri e di non avere i documenti in regola; presentare un piccolo conto a chi si arricchisce con il genocidio della popolazione irachena (come la Esso) o con la deportazione dei Mapuche (come la Benetton), sono pratiche assolutamente condivisibili. Dai bombardamenti ai CPT, dalle banche alle multinazionali, i nemici degli sfruttati non sono forse ovunque gli stessi?
Mentre questi nostri compagni vengono arrestati, in un solo giorno a Torino la polizia sgombera un campo nomadi, uccide a freddo un senegalese a un posto di blocco, provoca la morte di un altro immigrato che cerca di sottrarsi ad un rastrellamento. Vi basta? Da settimane gli internati di via Corelli a Milano sono in sciopero della fame, protestano sui tetti, urlano la loro voglia di libertà.
Intanto centinaia di profughi vengono internati in "centri di accoglienza" da cui cercano ad ogni costo di evadere.
Sono urla che ci giungono dalle macerie di questo mondo in rovina. Possiamo fare finta di non sentirle. Possiamo festeggiare ipocritamente la lotta armata contro il nazifascismo senza accorgerci che i lager non sono il nostro passato, ma il nostro presente.
Possiamo rifugiarci dietro il rispetto della legge – quella stessa legge in nome della quale si affama e si bombarda, quella stessa legge che viene quotidianamente sospesa per milioni di dannati della Terra. Oppure possiamo decidere di alzare la testa, trovando in noi stessi il senso di ciò che è giusto, armando il nostro cuore e le nostre braccia. Possiamo nasconderci, oppure batterci.
Il modo migliore per essere solidali con gli anarchici di Lecce ci sembra quello di continuare la lotta per la chiusura dei lager, per inceppare la macchina delle espulsioni. Per un mondo senza frontiere.
Alcuni aggiornamenti (tratti dai comunicati degli anarchici salentini):
Il 18 gennaio si è tenuta un'ulteriore udienza del processo agli anarchici.
Sono stati ascoltati alcuni testimoni dell'accusa; gestori di impianti di carburante Esso e impiegati di filiali di Banca Intesa, che in passato hanno subito dei sabotaggi da parte di ignoti. Particolarmente teatrale è stata la testimonianza di due medici che hanno lavorato nel Cpt "Regina Pacis".
Quella della dottoressa Cazzato, in particolare è stata degna della miglior Veronica Castro. I fatti che la riguardano sono ampiamente noti: in seguito ad un tentativo di fuga dal Cpt, alcuni immigrati sono stati ripresi dalle forze dell'ordine e picchiati selvaggiamente, anche dal direttore del centro Lodeserto. La dottoressa e il dottor Ruberti, pur non essendo presenti quel giorno, hanno redatto dei certificati falsi che attestavano che fratture e ferite degli immigrati erano dovute a cadute.
Nonostante ciò la dottoressa ha recitato ieri, il ruolo della vittima inconsapevole delle condanne che ha subito e dei fastidi che ha avuto per questi fatti.
Altro dato da registrare è la chiusura della Corte a concedere qualsiasi cosa a imputati e difensori, spesso bloccati nelle loro domande tese a squarciare le menzogne di alcuni testimoni e del Pm. Ai tre compagni ai domiciliari è stato negato di recarsi alle prossime udienze senza scorta.
Il 25 gennaio si è tenuta un'altra udienza del processo agli anarchici leccesi.
L'ennesima sfilata di testimoni dell'accusa è servita a sgretolare ancor di più il castello incriminatorio e a far comprendere meglio come tutto sia stato costruito a tavolino.
I vari testimoni non ricordano quasi niente dei fatti che gli vengono chiesti, ma ricordano benissimo i nomi degli imputati. Si è distinta la testimonianza del capo della digos torinese, Petronzi, chiamato a parlare del bollettino tempi di guerra, il quale ha distinto gli anarchici tra coloro che condividono l'azione diretta e coloro che non la condividono, e quindi rispettivamente cattivi e buoni. Su domanda dell'accusa ha specificato che l'occupazione di un ufficio pubblico è già azione diretta.
L'udienza di oggi è stata molto breve, almeno per gli imputati.All'inizio, infatti è stata letta una dichiarazione collettiva che spiegava i motivi politici per i quali gli anarchici salentini sono ancora detenuti; subito dopo in segno di protesta gli imputati presenti, sia quelli ai domiciliari che quelli a piede libero e l'esiguo pubblico presente, hanno abbandonato l'aula in segno di protesta, dichiarando di disertare anche la prossima udienza prevista per il 22 febbraio. Fuori dall'aula alcuni compagni
hanno divulgato la dichiarazione letta in aula. L'udienza è proseguita con l'esame di un ennesimo testimone dell'accusa (altri due testimoni non erano presenti), il capo digos di Reggio Emilia, interrogato sulla manifestazione tenutasi contro l'allevamento Morini nel novembre 2003. Secondo l'accusa durante il tragitto che avrebbero fatto alcuni anarchici salentini per recarsi a S.Polo, ci sarebbero state delle telefonate minacciose nei confronti di gestori e medici dell'ex Cpt "Regina
Pacis". Il testimone però ha potuto solo dire questo l'aveva appreso dalla digos di Lecce.
Intanto si ricorderà che contro i domiciliari concessi a Salvatore e la liberazione di Marina, avvenuti il 21 luglio scorso, il Pm aveva fatto ricorso al riesame e tale ricorso era stato accolto. La difesa è ricorsa in cassazione e l'udienza è stata fissata per il 20 febbraio. Salvatore così a poche settimane dalla probabile fine del processo rischia di tornare in carcere e Marina ai domiciliari, nonostante l'accusa si sgretoli volta per volta. Ma l'esito del processo non sembra poter dipendere soltanto da
ciò che sta venendo fuori dal processo.
Dichiarazione davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Lecce
Ne abbiamo sempre più consapevolezza.
L’intenzione di mettere da parte gli anarchici in qualsiasi modo è ormai dichiarata anche in questa aula di tribunale, come avviene in numerose altre Procure dello Stato, frutto di una precisa scelta del potere a livello nazionale. Il mezzo dell’associazione sovversiva sarà servito ad intralciare le nostre vite, interessi ed affetti, e ad ostacolare un percorso di lotta che a Lecce ha cercato di essere realmente incisivo nel territorio, facendo di fatto scontare una pena in maniera preventiva al di là che l’inchiesta porti o non porti ad una condanna più o meno grave.
Con ostinato impegno ci si prodiga nel negare e reprimere ogni possibile spazio di “socialità” in aula durante le pause delle udienze, fra chi di noi è agli arresti domiciliari e chi imputato a piede libero, per mantenere i compagni ristretti isolati dal loro contesto sociale e affettivo. In tal senso va interpretata anche la negazione di qualsiasi permesso lavorativo nei riguardi sempre dei compagni agli arresti domiciliari, che permetterebbe loro di autodeterminare le proprie esistenze.
Gli anarchici a Lecce si sono opposti alla esistenza intollerabile dei Cpt. Ma poiché lo sfruttamento e la repressione sono i cardini di questa società, lo Stato ha deciso di dar loro una lezione; il fatto che a gestire il Cpt locale ci fossero personaggi molto potenti, ha acuito la vendetta.
Ma gli anarchici sono una scintilla che può essere contagiosa, perché amano la libertà e non tollerano chi la vuole spegnere.
Nonostante tutti i vostri sforzi, le idee e la solidarietà non si possono ingabbiare.
Per questi motivi oggi abbiamo deciso di abbandonare l’aula, e di disertare la prossima udienza del 22 febbraio.
Lecce, 8 febbraio 2007
Alemanno Saverio, Capone Annalisa, D’Alba Andrea, De Carlo Massimo, De Mitri Alessandro, Ferrari Marina, Paladini Cristian, Pellegrino Saverio, Prontera Laura, Signore Salvatore
Oggi 20 febbraio la corte di cassazione ha accolto il ricorso del pm contro la concessione, da parte della corte d'assise di Lecce, degli arresti domiciliari per Salvatore e della libertà per Marina.
Di conseguenza Salvatore deve tornare in carcere e Marina agli arresti domiciliari. Per tutti gli altri imputati la situazione resta invariata.
L'accanimento contro i compagni di Lecce ha già da tempo raggiunto livelli assolutamente intollerabili.
Sono sotto custodia cautelare ormai da un anno e nove mesi per fatti che si possono riassumere in un portone bruciato, due pompe di benzina tagliate e qualche bancomat danneggiato, anche perchè lo stesso giudice si era spinto a dichiarare nel luglio scorso: "Non si intravedono gli estremi per sostenere l' accusa di associazione sovversiva".
Martedi scorso (20 febbraio) Salvatore è stato portato nuovamente nel carcere di Lecce; per Marina, invece, sono stati ripristinati gli arresti domiciliari.
Ciò è accaduto a causa dell’ accettazione di un ricorso presentato dal Pm al Tribunale del Riesame contro il pronunciamento col quale, in luglio, la Corte d’Assise liberò Marina e convertì la carcerazione di Salvatore in arresti domiciliari (con la stessa sentenza la Corte liberò anche Annalisa e convertì in arresti domiciliari la carcerazione di Saverio. Cristian, invece, si trova ai
domiciliari dall’agosto 2005).
Con il rigetto, da parte della Corte di Cassazione, dell’ulteriore ricorso presentato dalla difesa contro il pronunciamento del Riesame, le misure chieste dal Pm diventano esecutive, pertanto Salvatore e Marina sono ritornati alle condizioni detentive iniziali.
Nell’udienza di ieri, verosimilmente una delle ultime di questo lungo e ingarbugliato processo, la difesa ha presentato istanza di scarcerazione per tutti gli imputati e, in subordine, l’applicazione di misure giudicate “meno afflittive” .
Dopo la totale liberazione di tutti gli imputati in custodia cautelare (Salvatore, Saverio, Cristian e Marina) avvenuta nell'udienza del 1 marzo 2007, altri testimoni dell'accusa sono stati ascoltati dalla Corte. Non ha ancora concluso la sua deposizione il sostituto commissario della Questura di Lecce, che ha tracciato nelle ultime due udienze il filo riassuntivo delle accuse per singoli reati mossi ad alcuni compagni; mentre l'accusa per associazione sovversiva è stata nuovamente ritenuta
insussistente dalla Corte nell'ordinanza che ha disposto la liberazione di tutti i compagni con motivazioni molto approfondite, anche il quadro indiziario per i reati specifici sembra sgretolarsi, anche in seguito alle trascrizioni delle intercettazioni ambientali, telefoniche e telematiche operate dai periti nominati dal tribunale.
Nonostante tutto il P. M. continua ad avanzare la teoria dell'associazione sovversiva esistente ed operante su tutto il territorio nazionale e di cui gli anarchici leccesi sarebbero solo una parte. Infatti i suoi sforzi in tal senso sono stati e probabilmente saranno molto numerosi e costanti. La stessa sua opposizione agli arresti domiciliari concessi a Salvatore e la libertà a Marina nel luglio del 2006 e che in seguito all'esito del ricorso in cassazione ha riportato Salvatore in carcere e Marina ai domiciliari per una settimana, è stata una palese manovra per rimettere in gioco la questione 270
bis. Alcune testimonianze, più di altre, come quella del capo della digos di Torino, e il maggiore dei Ros di Trento, hanno aiutato in tal senso l'accusa, facendo comprendere più dal linguaggio utilizzato che non dal racconto dei fatti, quanto lo Stato italiano stia lavorando in questa direzione, con la palese o mal celata affermazione da parte di questi uomini dello Stato che le loro indagini nei confronti degli anarchici, sono condotte per eversione sulla base della semplice idea, appartenenza,
conoscenza tra individui. I reati specifici sono solo il pretesto. A tal proposito particolare rilevanza è stata attribuita al bollettino Tempi di guerra, mentre estremo rilievo hanno avuto i profili di alcuni anarchici che gli inquirenti considerano "leader" e di cui gli altri sarebbero "gregari" o "luogotenenti" (Termine usato dal maggiore dei Ros di Trento).
Le ultime due udienze del processo agli anarchici leccesi hanno visto una ulteriore sfilata dipoliziotti come testimoni dell'accusa. Il sostituto commissario Costa della Digos di Lecce, che ha coordinato le indagini e che terminerà di testimoniare il 26 Aprile, ha proseguito la sua deposizione.
Dopo una lunghissima relazione, durata per due udienze, riportante i titoli di tutti i volantini ascritti agli anarchici, la maggior parte dei quali raccolti per terra durante i volantinaggi, come ha espressamente affermato il sostituto commissario, lo stesso ha effettuato il riconoscimento delle voci parlanti nelle intercettazioni, e un ulteriore quadro generale di tutti gli episodi specifici riguardanti singoli reati imputati ai compagni.
Insieme ad essi ha effettuato un ulteriore quadro generale di relazioni, amicizie, incontri, assemblee, conoscenze. La solita solfa ripetuta da svariati testimoni dell'accusa, probabilmente nell'intento di farle acquisire maggiore rilievo a forza di ripeterla. Nell'ultima udienza numerose sono state le figure ridicole di poliziotti e digos che per essere reticenti su tutto ciò che poteva essere a favore degli imputati tendevano al contrario ad esagerare
gli avvenimenti rendendosi poco credibili e creando solo confusione. Intanto si è potuto comprendere che entro luglio questo processo potrebbe "già" finire. L'accusa terminerà con i suoi testimoni il 3 maggio, quindi con l'udienza del 10 maggio la parola passerà alla difesa. Nelle udienze di giugno probabilmente vi sarà la discussione finale di Pm e difensori e la sentenza è prevedibile per luglio.
Si è svolta oggi 26 Aprile un'udienza del processo Nottetempo, che ha visto la conclusione della deposizione del sostituto commissario Costa che ha coordinato le indagini.Le domande degli avvocati hanno incrinato le sue certezze su vari elementi d'accusa; nella prossima udienza del 3 maggio si ascolteranno gli ultimi testimoni dell'accusa, ma il Pm ha già preannunciato che farà una nutrita richiesta di ulteriori testimoni ai sensi dell'articolo 507 che prevede di poter integrare la
prova se strettamente necessario. Guarda caso oggi si è appreso che il tribunale del Riesame di Lecce ha accolto il suo appello contro le scarcerazioni dei compagni attualmente liberi. Gli stessi dovranno ora ricorrere in Cassazione.
In regime di Censura
Quello che trovate allegato è un volantino che è stato diffuso nella serata di domenica 6 maggio a Lecce, volantino il cui scopo era di denunciare le mire della repressione e del Tribunale di Lecce nel processo contro gli anarchici salentini scaturito dagli arresti di due anni fa. Il pomeriggio dopo il volantinaggio – per cui era stato dato regolare preavviso – cinque compagni hanno ricevuto la visita della Digos, che gli ha notificato il sequestro del volantino con la motivazione che “presentava
contenuti diffamatori, denigratori ed offensivi nei confronti delle sottoindicate persone: Lino Giorgio Bruno, sost. Proc. Rep. presso il Tribunale di Lecce; Alfredo Mantovano, Senatore della Repubblica; Cesare Lodeserto, prelato della Curia di Lecce; Cosmo Francesco Ruppi, vescovo della diocesi di Lecce; Giudici del Tribunale di Lecce, componenti della sezione del Riesame, non meglio indicati; Personale di Polizia Giudiziaria, non meglio indicato, chiamato a deporre in dibattimenti penali a carico di anarchici”.
A parte il chiaro intento intimidatorio e la conferma che a Lecce stanno provando a fare piazza pulita degli anarchici utilizzando qualunque mezzo ed attaccandosi a qualunque minchiata pur di creare fastidi, questo episodio è solo la conferma che la verità fa male e che, a fare pubblicamente i nomi e cognomi di certa gente, si toccano dei nervi scoperti che fanno sempre male. È quasi banale dire che domenica prossima saremo nuovamente in piazza, a diffondere lo stesso volantino;
l’appuntamento è esteso a tutti i solidali.
Domenica 15 maggio, dalle ore 17.30 alle ore 21, via Libertini ang. via Palmieri (di fronte al Duomo), LECCE, presidio e volantinaggio.
Anarchici salentini
Partita doppia
Da una parte, gli anarchici. Una trascurabile minoranza di persone contrarie a tutto, un sogno nel cuore ed un progetto nella testa. Sono trascorsi esattamente due anni da quando la repressione è venuta a bussare alle nostre porte, portandosi via cinque di noi tra carcere e arresti domiciliari e indagando molti altri per associazione sovversiva con finalità di eversione dell’ordine democratico.
Solo dopo un anno e dieci mesi gli ultimi compagni vengono scarcerati, mentre il processo di primo grado è tutt’ora in corso. Che il vero terrorista sia lo Stato è cosa risaputa da tempo.
Dall’altra parte, don Cesare Lodeserto. Con esso anche l’arcivescovo di Lecce, Cosmo Francesco Ruppi e l’intera Fondazione “Regina Pacis”. Contro costoro da anni piovono pesanti accuse alternate a riabilitazioni mediatiche, mentre l’intera gestione di quello che era il Centro di Permanenza Temporanea è stata messa sotto accusa e tutta la “caritatevole” opera svolta dalla
Fondazione ha subìto una pesante perdita di immagine.
Oggi, l’ennesimo ricorso contro le scarcerazioni degli anarchici effettuato dall’accusa è stato ancora una volta accolto da un Tribunale del Riesame asservitissimo, che ricalca pedissequamente i dettami del P. M. e contraddice le decisioni della Corte d’Assise, che segue il processo e valuta in base agli elementi processuali, contrariamente ai giudici del Riesame che decidono sulle scartoffie degli sbirri e – come appare sempre più chiaramente –, anche in base a direttive che giungono dall’alto. E rivolgono un chiaro invito a chi dovrà esprimere un giudizio sugli anarchici imputati: quello di cambiar rotta. È certamente un caso, ma questa nuova decisione arriva proprio mentre per don Cesare si chiudono le indagini che lo vedono coinvolto nell’ennesimo gioco di prestigio (avrebbe incassato illecitamente seicentomila euro) e alla vigilia di un nuovo processo che lo vede imputato. Casualmente, anche due anni fa gli arresti degli anarchici arrivarono dopo quello del
“caritatevole” prelato…
In mezzo a tutto ciò, tanto altro. Un Pubblico Mercenario, Giorgio Lino Bruno, Accusa nel processo agli anarchici, personaggio schizofrenico, misogino ed ignorante, accecato dall’odio profondo nei confronti di chi ama la libertà; forse solo uno squallido personaggio in cerca d’autore (e di un po’ di gloria) per uscire dal grigiore della sua esistenza, oppure pedina di un progetto più ampio.
Poi, altri Pubblici Mercenari e altri Giudici, tutti – sia detto chiaramente – personaggi squallidi quanto Bruno, perché il loro stesso ruolo si accompagna ad un fetido puzzo di galera e a un fastidioso rumore di catene. Accusano don Cesare di aver rubato qua o malmenato là: per quanto ci riguarda non abbiamo bisogno della sentenza di un Tribunale per sapere che un carceriere è colpevole in quanto tale.
A difendere gli anarchici e solidarizzare con loro, solo i compagni, gli amici, alcuni onesti pregiudicati e altri individui non addomesticati.
A schierarsi con don Cesare ed i suoi scherani, tutta la stampa leccaculo, politicanti di destra e di sinistra, senatori al flambé ed integralisti cattolici talmente reazionari da fare impallidire qualunque cosiddetto “estremista islamico”.
Eppure… La sensazione è quella che le parti in gioco non siano solo queste, e che la posta sia ben più alta che non quella di far scontare ad alcuni anarchici salentini un bel po’ di anni di carcere.
Certo, già così si otterrebbe il non misero risultato di togliere di torno alcuni individui insuscettibili di ravvedimento, fare il vuoto tutto attorno e provare a chiudere definitivamente il discorso anarchici nel Salento. Ma le mire dello Stato non possono solo essere queste, così come qualche infuocato senatore, ad esempio Alfredo Mantovano quando era al Ministero della Repressione, non può avere orchestrato tutto ciò solo per compiacere se stesso e fare un favore ai suoi compagni di
merende della Curia leccese, questa associazione a delinquere di stampo cattolico.
Quello che a Lecce si sta provando ad ottenere è un precedente: una condanna per associazione sovversiva che si possa estendere, come sentenza di Cassazione da citare, a qualunque altro processo venga intentato contro gli anarchici in Italia. È questa manovra che va denunciata ed è in questo contesto che va inserito l’accoglimento sistematico del Tribunale del Riesame di Lecce contro ogni scarcerazione dei compagni pronunciata dalla Corte giudicante. Gli anarchici si sono
opposti ad un lager a San Foca gestito da potenti, certo, e questo sarebbe già un valido motivo per fargliela pagare; ma è su scala nazionale (e non solo) che gli anarchici danno fastidio, addirittura pensano, quindi bisogna spazzarli via. A tal proposito nel processo salentino si lavora alacremente a qualcosa che per il momento appare solo in nuce; lo scopo è quello di preparare il terreno ad ulteriori manovre repressive di più ampio raggio – probabilmente a carattere nazionale – negli anni
a venire. In questo senso sono da interpretare le testimonianze rese in aula da sbirri di ogni zona d’Italia dove ci siano compagni attivi nelle lotte: testimonianze che sono andate oltre il puro e semplice vaneggiamento poliziesco. Non crediamo sia un caso che deposizioni del genere siano state rilasciate in un processo a Lecce, dove l’assenza di precedenti del genere rende più agevole costruire castelli di carta abitati da fantasmi immaginari.
Denunciare pubblicamente le sporche manovre degli apparati repressivi è il primo mezzo per provare a contrastarle. Proseguire nelle nostre lotte di sempre significa non soccombere alla logica dell’intimidazione mafiosa tipica degli organi di Stato. Essere ancora per strada alla ricerca di complici, riconoscendosi sfruttati tra gli sfruttati, è solo la naturale conseguenza.
Alcuni anarchici amanti del flambé
c.c.p n. 56391345 intestato a Marina Ferrari
Le udienze si tengono sempre presso il tribunale di Lecce Viale DePietro