Riflessioni sulla 4 giorni da Ca Favale

Abbiamo ricevuto notizie dell'iniziativa in preparazione a Torino, e ci
stiamo chiedendo da qualche giorno come, quando e perchè partecipare.
Penso siano domande cui è interessante rispondere, per comprendere lo
slancio con cui ti proietti in un'iniziativa. Pensavamo di cominciare a
correre per tempo, dal momento che -dice il saggio- non ha senso
cominciare improvvisamente a correre a bomba.

La corsa, che è diversa dalla passeggiata, attiva e mette in moto
endorfine e risveglia cellule cerebrali altrimenti sopite. In molte
occasioni ci siamo trovati a sbadigliare dalla noia, e non c'e' nemico
interno peggiore di quello – la noia, manifestazione del nostro sentirci
impotenti, non in grado di tirare fuori una parte di noi – la reazione
che desideriamo corrisponde alla sostituzione della noia di un passo
mediocre con l'eccitazione di una corsa a pieni giri

Leggendo la presentazione dell'iniziativa mi è venuto un po' un
coccolone alla proposizione di “workshop, seminari, stage, o come cazzo
li si vuole chiamare”, genericamente varie attività pomeridiane:

a me personalmente non frega un cazzo delle “varie attività pomeridiane”
indipendentemente da come le si chiama.

non vengo a torino per farmi di workshop/seminari/stage di qualche
tipo... ma per provare a intrecciare legami che ci portino ad
organizzarci insieme, ad esempio... un'officina per andarci a riparare
una macchina,
una distilleria per fare grappe,
una cantina per il vino,
un qualche luogo/nonluogo/laboratorio X che continua nel tempo e non sia
legato a una logica esclusivamente temporanea...

penso che dobbiamo dotarci si delle conoscenze, ma che queste viaggiano
solo insieme alle pratiche;

dotarci della capacità / volontà / possibilità di realizzare quelle che
altrimenti rimangono solo idee, e mai riescono ad assumere concretezza.

Per dotarci di queste pratiche sono necessari incontri / scontri /
riflessioni in cui siamo disposti a mettere tutto quel che ci riguarda
sul tavolo, in discussione – credo sia l'unica faccenda sugosa.

Mettere tutto in discussione significa anche mettersi in testa di
affrontare questo tutto non in maniera separata... portare avanti
insieme un'idea, (forse ne basta una sola?), a cui tendiamo insieme
conun ventaglio di pratiche; ad esempio autogestione e autoproduzione mi
paiono solo riferimenti un po' astratti e sfuggenti... forse, dovendo
usare dei termini, mi piacerebbe riuscire a pensare e praticare varie
forme di (auto)organizzazione. Spero che durante i quattro giorni le
idee sui vari percorsi diventino più chiare -

Quelli che vedo come laboratori, persistenti o temporanei, sono i luoghi
o i non luoghi che riusciamo a creare - sono la socializzazione di
esperienze, nella teoria, nella pratica.

Quando c'è qualcosa da comunicare, farlo - allestire un banchetto,
prepararsi in qualsiasi modo si ritiene opportuno per contribuire in
modo utile a un'iniziativa.

Riuscire a sganciarsi da una prospettiva immediata, riuscire nei 3
giorni a scambiarci idee, emozioni, rabbie che durino per almeno 3 mesi
–a parte la teoria del 3 (?!?)- secondo me ha senso per non trovarsi
nella triste condizione di vedere in ogni iniziativa un inizio e una
fine ben definiti.

Per costruire un qualcosa che perdura nel tempo, a cui sia possibile
agganciarsi in qualsiasimomento, servono relazioni, e per costruire
relazioni occorre tempo – La disponibilità di questo tempo gioca un
ruolo principale. Il voler spendere il proprio tempo insieme segna una
differenza. Con chi siamo disposti a spendere il nostro tempo?
Se serve a qualcosa vedersi, serve ad esempio a ipotizzare e poi
sperimentare (il che vuole dire attuare) pratiche di sottrazione dai
meccanismi più radicati del sistema – il fatto che ognuno “se la sfanghi
da solo” non sposterà mai neanche di un millimetro il problema ed è la
fregatura più colossale pensare di affrontare individualmente problemi
che sono comuni.

Mi ero un attimo perso, rileggendo cerco di riprendere il filo – in
questi quattro giorni a torino secondo me una pratica che mi piacerebbe
condividere con tutti è quella di attrezzare il posto per tutte le
esigenze che si manifesteranno a partire dal magnare e dal bere. Non ci
piace ad esempio l'idea che ci sia un gruppo che si occupi della cucina
perchè non ci piace l'idea che qualcuno pensi a come 100 persone possano
riempirsi la pancia in modo gradevole... è o non è la cosa di base su
cui qualunque gruppo deve mettersi d'accordo perchè tutti a un certo
punto avranno fame e che può anche risultare piacevole come
socializzazione? Da questo punto di vista agli incontri del CIR, cui
abbiamo partecipato, la condivisione della cucina è stato l'aspetto di
autoorganizzazione affrontato nel modo più sensato e credibile che
abbiamo visto. In incontri di 70 persone non c'è mai stato da fare
spesa, non c'è mai stato nessun “gruppo cucina”, si è sempre magnato e
bevuto bene.

Organizzare un incontro sul tema autogestione / autoorganizzazione ha
come conseguenza pratica che ognuno si attivi a modo suo “portando ciò
che vorrebbe trovare” e per questo occorre già da ora organizzarsi un
minimo per evitare di trovarci sommersi da tonnellate di farina – se poi
manca il sale... sarebbe buono che, usando i potenti mezzi che la
tecnologia ci offre, ad esempio la posta elettronica, riuscissimo a
metterci d'accordo sulle cose da portare a torino – E questo riguarda
solo una parte pratica, che è comunque interessante ed utile da mettere
in gioco.

Per il resto anticipo che preferirei minor programmazione su quello che
accadrà nelle giornate e nelle serate – se c'è chi vuole suonare è molto
facile organizzarsi per farlo – è capitato in mille occasioni di
partecipare a serate con gruppi che arrivano, montano un impiantino,
suonano, poi smontano per lasciare il palco a un altro gruppo che monta
un nuovo impiantino, suona, poi smonta – generalmente alla fine dei 4000
concerti a tamburo battente l'ultimo gruppo si porta via i suoi
strumenti -batteria, chitarra, basso- e rimane un palco vuoto - poi
inizia Tormento-DJ “per tutta la notte”

... cazzo un pochino di spontaneità la vogliamo lasciar emergere?

Anche perchè se c'è una cosa di cui l'organizzazione diventa fastidiosa
è proprio l'aspetto ludico, la festa –

mi viene in mente una discussione alla fiera dell'autogestione a Libera
quest'aprile in cui si parlava dell'autoproduzione musicale. Il gruppo
che mi è piaciuto di più era un gruppo napoletano che come distribuzione
non aveva nulla che c'entrasse con la musica, per scelta.
L'autoproduzione di CD e cassette e l'idea di diffondere musica
registrata cozza abbastanza malamente con l'idea di suonare insieme per
esprimere qualcosa –

rinunciamo alle carrellate di concerti con 3 o 4 gruppi che suonano la
stessa serata uno dopo l'altro.

Creiamo insieme le condizioni perchè ognuno si senta di suonare –
estirpiamo l' idea di un palco e della “scaletta” musicale, condividiamo
(con cura – se un rullante si rompe, non esiste che “sono cazzi miei” e
del mio rullante) strumenti e passioni insieme e qualche nota salta
fuori... magari un po' stonata, del resto così è nato il punk...

Queste sono prime idee che ci vengono in mente, aspettiamo qualche
intervento per approfondire o mettere altra carnazza al fuoco...
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